Abbiamo pensato che il nostro Blog, dovesse essere anche a carattere culturale e la nostra amica Ivetta BONO, collaborerà con noi, spaziando da un argomento all'altro.
Oggi debutta con l'elegante recensione di un libro: "FRA BARBARI E DEI"
"Fra Barbari e Dei", edizioni L'Arciere (2008) è un libro scritto da Danilo Di Gangi, cuneese, classe 1963, scrittore ed insegnante, che, appassionato di trekking, ha percorso moltissimi kilometri a contatto con le popolazioni asiatiche di montagna. Si occupa del mondo tibetano da un punto di vista religioso e politico tenendo conferenze, organizzando incontri, cercando di portare la sua personalissima esperienza alla conoscenza di tutti.
Tra i molti volumi usciti sull'argomento è questo, secondo noi, che da al libro un sapore nuovo e particolare; leggendolo, frutto di uno dei tanti viaggi effettuati da Danilo, si ha l'impressione di percorrere proprio insieme a lui e alle guide che lo accompagnano questi posti difficili, queste strade faticose, di visitare questi ostelli poveri dove non ci sono i servizi igienici ma un bel televisore che troneggia in un angolo, sottolineando amaramente l'evoluzione innaturale di questi posti, strappati alle proprie origini, ai propri veri sentimenti ed alle proprie vere tradizioni per essere catapultati in un'altra dimensione, falsa, ipocrita, crudele, che non ha nulla a che fare con il cuore delle popolazioni tibetane. Si soffre insieme a Danilo, che ci fa partecipi delle sue esperienze, che ci fa percepire la stessa paura che prova la guida quando Danilo entra in conflitto con le guardie cinesi, che ci fa inorridire ed indignare di fronte a certi racconti di sopraffazione, di ignoranza e violenza. Danilo non è un turista qualsiasi, e anzi guarda e descrive con un sorriso triste il turista medio, che si approccia magari per la prima volta al mondo tibetano. Alcune foto, semplici, come semplice e diretto è l'approccio che l'autore ha nei confronti di questi posti, mostrano la modifica subita da certi luoghi, le popolazioni in preghiera, la montagna sacra di Amnye Machen, la città di Lhasa che ha perduto il suo fascino e la sua anima più vera per essere stravolta dai cartelloni delle nuove compagnie telefoniche, che troneggiano in tutto il loro orrore. Alla fine del viaggio, all'aeroporto Beijing Capital Airport, fra "odori asettici, luci sfolgoranti delle vetrine (...) e visi irrigiditi dei poliziotti" Danilo si dice che "tutti coloro che credono nella verità e nella giustizia non possono passivamente continuare a guardare". Constata che la folle corsa verso un progresso di facciata, che gronda sangue da tutte le parti, ha portato "all'annientamento dei valori fondamentali dell'uomo, all'impoverimento culturale, alla soppressione di tanti in virtù del benessere di pochi". Con la mente preferisce tornare all'immenso e affascinante altopiano del Tibet, ricordarsi di come, lì, la vita proceda lenta, naturale, fra il sorriso di bambini poverissimi che affrontano notti gelide e strade polverose e ostili. Le ultime pagine sono un dolce ricordo, poeticamente esternato, di ciò che l'autore ha visto, concludendo "... realtà che volgono al tramonto, per divenire nostalgie di un mondo perduto che troppo tardi rimpiangeremo".
Il libro è stupendo, disponibile in libreria, insieme ai precedenti sempre pubblicati dall'Arciere: "Cieli d'infinito. Mongolia, terra senza tempo" (2003) e "Gioiello di neve. Kailash, l'essenza del Tibet" (2004).
Tra i molti volumi usciti sull'argomento è questo, secondo noi, che da al libro un sapore nuovo e particolare; leggendolo, frutto di uno dei tanti viaggi effettuati da Danilo, si ha l'impressione di percorrere proprio insieme a lui e alle guide che lo accompagnano questi posti difficili, queste strade faticose, di visitare questi ostelli poveri dove non ci sono i servizi igienici ma un bel televisore che troneggia in un angolo, sottolineando amaramente l'evoluzione innaturale di questi posti, strappati alle proprie origini, ai propri veri sentimenti ed alle proprie vere tradizioni per essere catapultati in un'altra dimensione, falsa, ipocrita, crudele, che non ha nulla a che fare con il cuore delle popolazioni tibetane. Si soffre insieme a Danilo, che ci fa partecipi delle sue esperienze, che ci fa percepire la stessa paura che prova la guida quando Danilo entra in conflitto con le guardie cinesi, che ci fa inorridire ed indignare di fronte a certi racconti di sopraffazione, di ignoranza e violenza. Danilo non è un turista qualsiasi, e anzi guarda e descrive con un sorriso triste il turista medio, che si approccia magari per la prima volta al mondo tibetano. Alcune foto, semplici, come semplice e diretto è l'approccio che l'autore ha nei confronti di questi posti, mostrano la modifica subita da certi luoghi, le popolazioni in preghiera, la montagna sacra di Amnye Machen, la città di Lhasa che ha perduto il suo fascino e la sua anima più vera per essere stravolta dai cartelloni delle nuove compagnie telefoniche, che troneggiano in tutto il loro orrore. Alla fine del viaggio, all'aeroporto Beijing Capital Airport, fra "odori asettici, luci sfolgoranti delle vetrine (...) e visi irrigiditi dei poliziotti" Danilo si dice che "tutti coloro che credono nella verità e nella giustizia non possono passivamente continuare a guardare". Constata che la folle corsa verso un progresso di facciata, che gronda sangue da tutte le parti, ha portato "all'annientamento dei valori fondamentali dell'uomo, all'impoverimento culturale, alla soppressione di tanti in virtù del benessere di pochi". Con la mente preferisce tornare all'immenso e affascinante altopiano del Tibet, ricordarsi di come, lì, la vita proceda lenta, naturale, fra il sorriso di bambini poverissimi che affrontano notti gelide e strade polverose e ostili. Le ultime pagine sono un dolce ricordo, poeticamente esternato, di ciò che l'autore ha visto, concludendo "... realtà che volgono al tramonto, per divenire nostalgie di un mondo perduto che troppo tardi rimpiangeremo".
Il libro è stupendo, disponibile in libreria, insieme ai precedenti sempre pubblicati dall'Arciere: "Cieli d'infinito. Mongolia, terra senza tempo" (2003) e "Gioiello di neve. Kailash, l'essenza del Tibet" (2004).
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Ivetta Bono
Non solo con il libro ma anche leggendo la recensione sembra di vivere le esperienze di Danilo.
RispondiEliminaGrazie